Italia

Un primo riferimento legislativo nazionale sul tema della mediazione interculturale, in termini di valorizzazione della diversità e strumento finalizzato all’inclusione della cittadinanza straniera sul territorio, risale nel 1998 con due norme: la Legge 40, “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (art.40) e il Decreto Legislativo 286, detto anche “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione” (ar.38 e 42).

Il nome di mediatore interculturale ha conosciuto un’evoluzione semantica dal punto di vista tecnico: mediatore madrelingua, tecnico esperto in mediazione, mediatore linguistico, mediatore linguistico-culturale, mediatore culturale e mediatore interculturale. La varietà terminologica sottolinea la disomogeneità e la frammentazione semantica in linea diacronica, ma anche tra le varie Regioni e territori italiani che hanno provato a definire al meglio la figura professionale in discussione; le vari dizioni convergono in modo evidente verso una prospettiva interculturale e di promozione del confronto etno-culturale.

Approfondimenti

Quadro Normativo

La definizione, a partire dal nome, dal ruolo e dall’utilità del mediatore interculturale, è delineata solo nei testi legali:

– n. 40 del 6 marzo 1998 e decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni e in materia di disciplina dell’immigrazione”;

– decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 (norme sullo status degli stranieri),

– per il sistema sanitario: legge n. 7 del 2006, articolo 7;

– nel campo dell’istruzione, circolari ministeriali n. 205 del 26 luglio 1990 “La scuola dell’oblio e dei cittadini stranieri. Educazione interculturale “e quella del 1 marzo 2006.

La Conferenza di Padova del 2002 promossa dal Ministero del Lavoro, costruisce la prima indagine sistematica sulle possibili caratteristiche del mediatore interculturale e la prima mappatura degli enti pubblici e privati ​​che si occupano di esso, raccolti nella ricerca Cisp del 2003 e nel Cnel tabella (2000), alla quale partecipano tutti gli attori coinvolti in questo tema.
Il documento finale elaborato dalla tabella Cnel proponeva standard sia per il corso di formazione che per il lavoro del mediatore, su cui le regioni e le autorità locali hanno basato le loro iniziative per “regolare” il profilo professionale.

Per quanto riguarda le Regioni, solo alcune definiscono la figura con una risoluzione specifica con riferimento a ruolo, formazione, professionalità, competenze, metodi e aree di intervento.

Il primo a regolare la figura professionale del mediatore interculturale fu la Toscana nel 1997. Seguita dal 2000 al 2006 da Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Piemonte, Alto Adige e Valle d’Aosta.

La definizione della figura del mediatore nelle varie risoluzioni regionali varia dall’una all’altra. È definito “operatore interculturale”, “tecnico”, “immigrato con esperienza migratoria che conosce i codici linguistici e culturali della popolazione migrante di riferimento”, “leader delle relazioni”, “ponte che collega culture diverse”.

Alcuni non specificano né il ruolo né le competenze, anche se offrono più aree di intervento.

Invece, la Regione Marche, con la legge regionale del 2 marzo 1998, è una delle prime regioni a dedicare un articolo (articolo 18) al Mediatore interculturale, specificando che “i comuni e le comunità montane per la realizzazione di ciò che è previsto da questa legge possono usare immigrati esperti e qualificati “.

In alcune regioni o province, vengono anche creati registri con elenchi di mediatori culturali che, tuttavia, non costituiscono un vero registro professionale. Questo strumento viene utilizzato per accreditare e distinguere il boaster dal mediatore e per facilitarne il recupero in caso di necessità.

Che cos'è un mediatore interculturale?

Ma chi è il mediatore interculturale? Quali sono i requisiti che devono essere considerati tali? quali sono le sue abilità? le funzioni, il ruolo e l’area di lavoro?

Il mediatore interculturale è un immigrato di 18 anni e più, che ha vissuto in Italia per almeno due anni, ha almeno un diploma di scuola superiore e ha eccellenti competenze linguistiche sia nella sua madrelingua che in italiano, e il mediatore è in grado di comprendere e interpretare i codici culturali.

Il mediatore culturale si definisce un operatore competente che funge da collegamento tra gli immigrati e il contesto territoriale e sociale in cui vivono e lavorano.

Interviene nelle seguenti attività: intermediazione linguistica, accompagnamento in percorsi individuali, facilitazione degli scambi tra cittadini e operatori immigrati, servizi e istituzioni. Analizza le esigenze e le risorse di un singolo utente o gruppo, orienta e pianifica iniziative e strumenti che aiutano l’integrazione.

Le funzioni della mediazione sono molteplici: traduzione, comunicazione interpersonale tenendo conto delle differenze culturali, etniche, religiose, di genere e vissute; saper ascoltare ed essere empatico; riconoscere e valorizzare le differenze.

Aree di intervento del mediatore

Le aree di intervento del mediatore sono: sistema educativo e formativo, sanità, giustizia, pubblica amministrazione, sicurezza e accoglienza di primo livello; e, infine, anche nel settore privato senza scopo di lucro (protezione civile, croce rossa, ONG, associazioni laiche e religiose).

I servizi di mediazione interculturale differiscono a seconda delle aree di specializzazione, delle situazioni e dei bisogni, ordinari o dettati dall’emergenza in cui vengono utilizzati.

Le modalità di assunzione e il quadro contrattuale dei mediatori sono in parte determinati dalle caratteristiche del servizio e del settore di riferimento e in parte dalle linee guida del datore di lavoro. Le forme di relazione lavorativa possono variare dall’occupazione occasionale chiamata “su chiamata”, alla consulenza per il settore pubblico, alla professione liberale con partita IVA, all’assunzione in enti senza scopo di lucro a tempo determinato o permanente (in pochi casi).

Il tarife corrisponde al lavoro svolto su base oraria, giornaliera o mensile. La situazione precaria è purtroppo ricorrente e diffusa a causa della breve durata dei progetti e pertanto non consente alla professione di entrare in contrattazione collettiva.
La tariffa oraria varia da €. 5 fino a €. 60 all’ora. La scuola e la prigione sono i settori in cui il tempo della mediazione viene pagato meglio.
La corsa verso il basso delle tariffe orarie è incoraggiata dalle stazioni contraenti mettendo in competizione sia le istituzioni che offrono servizi di mediazione sia i singoli mediatori freelance.

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